Non è comune vedere un giovane cervello tornare in Italia dopo aver trascorso quasi tutta la propria vita in un altro continente, tanto meno se torna con un’idea, una scommessa finanziaria che, in soli tre anni diventa un unicorno.

Sembra incredibile, ma si tratta di Simone Mancini, co-founder e CEO di Scalapay, figlio di missionari che lasciarono l’Italia per l’Australia quando lui aveva tre anni e che nel 2019 ha dato il via a una startup che gli è quasi esplosa tra le mani: tre anni dopo, l’azienda era valutata a un miliardo di dollari.

Un unicorno, appunto.

Il motore principale è stato, come afferma candidamente Mancini, la voglia di sperimentare.

Lui e il co-founder di Scalapay, nonché amico fraterno Johnny Mitresvki, approdano in Italia con l’idea perfetta senza saperlo, ma soprattutto dopo molti fallimenti anche nella gestione di piattaforme online. Dopo aver osservato come in Australia i pagamenti dilazionati favorissero la conclusione degli acquisti online, i due hanno cercato di proporre un metodo affine anche per l’Italia e il settore moda, conquistando investitori importanti forse anche grazie alla capogruppo irlandese che ne detiene le partecipazioni e che attira l’interesse internazionale nell’azienda.

In poco tempo, Scalapay ha conquistato un posto nell’ambito degli acquisti online perché il vantaggio sembra duplice: questo sistema di pagamento intende consentire al cliente di soddisfare “il piacere delle piccole cose”, come l’acquisto di una borsa Prada, pagandolo in rate, ma senza dover disporre necessariamente dell’intera cifra da coprire e tenendo traccia di ogni acquisto. Ma il vantaggio è anche del merchant, che, a fronte di una commissione, ha in Scalapay una garanzia del pagamento e una maggiore probabilità di concludere la vendita.

Nonostante l’obiettivo di Scalapay prima di tutto sia di “create magic”, consentendo ai clienti di avere qualcosa che altrimenti difficilmente si concederebbero, anche Scalapay si sta orientando ad essere più profittevole, non solo attraverso l’espansione internazionale, con team anche in Francia e Spagna, ma anche puntando a nuovi settori, come la burocrazia italiana, dove però il modello di business è ancora da individuare. Tuttavia, un investimento di Poste Italiane sembra dare quantomeno una prima cornice. Per non parlare delle potenzialità dell’intelligenza artificiale nell’ambito finanziario, che Mancini, da appassionato imprenditore, intende inglobare nelle sue sperimentazioni.

Ed è proprio questa la parola chiave: sperimentare.

Quello che Simone Mancini ripete regolarmente, infatti, è che senza le esperienze precedenti non solo Scalapay non sarebbe nata, ma certamente non sarebbe diventata quello che è ora in così poco tempo, poiché proprio i fallimenti e la passione come spinta a crederci hanno garantito il successo, persino prima ancora che la fortuna. Quella, poi, lui è il suo amico e collega Mitresvki se la sono costruita.